La seconda generazione della Toyota C-HR migliora nelle finiture e nella tecnologia, ma i posti dietro restano sempre “di serie B”: per accedere al divano c’è da chinare parecchio la testa e dentro mancano le tasche nei pannelli porta (ci sono giusto due piccoli portabibita), il bracciolo centrale, le maniglie al soffitto e le bocchette del “clima”. Ciò detto, chi cerca una crossover dallo stile moderno e inconfondibile piuttosto che ricca di spazio, troverà molti motivi per apprezzare la Toyota C-HR: fra l’altro, la plancia è ben fatta e integra pratici comandi fisici mentre il sistema multimediale è reattivo e in bella vista (ha poche funzioni, ma Android Auto e Apple CarPlay ci sono).
Due le versioni full hybrid della Toyota C-HR: la 2.0 da 197 CV (scattante e con un buon allungo, già in modalità Normal) e la 1.8 da 140 CV (fa risparmiare parecchio e non è certamente “pigra”). La 2.0 c’è anche in variante 4×4: la potenza combinata non cambia, nonostante il motore elettrico aggiuntivo che muove le ruote dietro. Anche la plug-in usa il “duemila”: ha 223 CV combinati e, con la batteria carica, promette quasi 70 km in elettrico. Ma questa versione è ben più cara delle altre e ha un bagagliaio perfino più piccolo (siamo sui livelli di un’utilitaria).
Tutte assicurano bassi consumi, specie in città, quando si marcia spesso in elettrico. Guidandole normalmente, ripagano con una fluidità di marcia invidiabile; accelerando con un po’ di decisione, o in salita, i quattro cilindri lavorano però ad alto numero di giri e si fanno sentire con un rombo monotono. A proposito di rumore, c’è da segnalare anche qualche fruscio dopo i 100 km/h; in compenso, pure con i cerchi di 19” l’assorbimento dello sconnesso non delude. Parecchi gli aiuti alla guida che la Toyota C-HR offre di serie, fin dalla “base”: guida semiautonoma, monitoraggio dell’angolo cieco e molto altro.